Header image  

 Spazio della Cultura: Casa della Memoria e della Storia

Organizzazione: Comune di Roma -
Assessorato alle Politiche Culturali e alla Comunicazione
Dipartimento IV Politiche Culturali PAV,
in collaborazione con Zètema Progetto Cultura
Promotore: Casa della Memoria e della Storia

 
    HOME

"Ellis Island: italiani d'America"
è un'iniziativa nata da un'idea di Nino Di Paolo
in collaborazione con il Museo dell'Emigrazione di Cansano (L'Aquila),

ELLIS ISLAND: ITALIANI D'AMERICA

Mostra fotografica

Percorso

 

La mostra è articolata in tre sezioni:
“Partire”, “Arrivare”, “Vivere in America”

 

Partire
Per rileggere in controluce per quali motivi e con quale atteggiamento gli Italiani decisero di emigrare. La decisione di recarsi negli USA nella speranza di trovare migliori condizioni di vita e di lavoro fu infatti la causa principale del fenomeno migratorio italiano sebbene gli emigranti, nella maggior parte dei casi, fossero ben consapevoli delle difficoltà e dei rischi a cui sarebbero stati sottoposti. Non è senza forti perplessità e timori che s’incamminarono verso una terra mitica ma sconosciuta, d’altra parte anche la speranza faceva parte del bagaglio di emozioni che ognuno portava con sé. Nel Nord America, dove finirono a lavorare nelle miniere o lungo le linee ferroviarie, o nei cantieri, in condizioni sempre difficili e pericolose, era possibile, ciò che non era possibile in Italia, costruire un futuro per la propria famiglia. Lo sguardo era sempre proteso verso quella terra contadina verso cui ritornare. Già durante la traversata venivano svolte alcune formalità da parte delle compagnie di navigazione, responsabili dei passeggeri che imbarcavano, infatti in caso di rifiuto da parte delle autorità americane, dovevano farsi carico del loro ritorno in Europa. Le formalità consistevano in una visita medica, vaccinazioni, disinfestazioni, e nella compilazione di una scheda segnaletica (“l’inspection card”) in cui venivano riportate diverse informazioni riguardanti l’emigrante: identità, provenienza, destinazione, le visite fatte dal medico a bordo etc…

Arrivare
Il “labirinto ispettivo” a cui erano sottoposti gli emigranti più poveri. Non tutti gli emigranti erano obbligati a passare per Ellis Island. Chi viaggiava in prima o in seconda classe veniva rapidamente ispezionato a bordo da un medico e da un ufficiale di stato civile e sbarcava a New York senza problemi. Gli emigranti che dovevano passare per Ellis erano quelli che viaggiavano in terza classe, cioè nell’interponte, di fatto giù nella stiva, al di sotto della linea di galleggiamento, in grandi dormitori, non solo senza finestre ma praticamente senza aerazione e senza luce (il viaggio era costoso: 10 dollari negli anni 1880 e 35 dollari dopo la guerra del 1914). Una volta scesi dai traghetti, gli immigranti attraversavano in massa l’entrata principale di Ellis Island dove venivano controllati i loro bagagli. Poiché ogni giorno venivano ispezionate migliaia di persone era molto difficile riconoscere gli effetti personali di ognuno. E la perdita dei bagagli rappresentava un dramma molto consueto per gli emigranti. Lo “sconosciuto” che nel romanzo di Kafka ruba la valigia rappresenta tutto “l‘ignoto” che disorganizza e confonde chi è appena arrivato. Dal piano terra, gli immigranti salivano una scala centrale che conduceva alla “sala di registrazione” (nota anche con il nome di Grande Sala) collocata al primo piano. L’esame medico iniziava prima ancora che gli immigranti avessero raggiunto il primo piano. Gli ispettori sanitari, infatti, posizionati sulle scale, analizzavano gli immigranti già mentre salivano, e questo per accelerare l’individuazione delle persone con anomalie fisiche evidenti o affette da problemi di respirazione. Venivano sottoposti ad altri esami, anche psicologici, con test che dovevano evidenziare le capacità intellettive, dove però la non comprensione della lingua era l’ostacolo maggiore.

Vivere in America
L’integrazione nel nuovo contesto, che vede gli uomini nella maggioranza addetti ai lavori più faticosi e umili (anche perché sono per lo più braccianti) e le donne alle prese con il lavoro a domicilio. Gli italiani subirono forti discriminazioni in alcuni casi sia rispetto ai “bianchi” sia rispetto alle persone di colore e furono a volte  esclusi nei contratti di acquisto dei beni. II lavoro a domicilio divenne il lavoro femminile per eccellenza e, in alcuni rami produttivi, di esclusiva competenza delle italiane: lavori di ricamo, confezione dei fiori artificiali e finitura di capi di abbigliamento. A New York, dove era concentrata l'industria dell'abbigliamento, le italiane rappresentavano il 98,2% delle lavoratrici a domicilio. Per le donne sposate nel lavoro a domicilio era compreso anche il bordo (come veniva chiamato il tenere i connazionali a pensione), soluzione che comportava numerosi problemi di convivenza e di sfruttamento delle donne, ridotte per lo più in una dimensione di reclusione domestica. Nei flussi migratori verso gli Stati Uniti la presenza femminile passò dal 21,1% degli anni 1882-90, al 30,6% nel 1913-20 per raggiungere quasi il 40% negli anni tra il 1923 e il 1930. “Una fantastica pioggia d'oro”: gli osservatori del tempo definirono così l'afflusso di capitali verso l'Italia provenienti dalle rimesse degli emigranti. Il denaro delle rimesse, canalizzato soprattutto verso investimenti antieconomici e improduttivi, non riuscì a provocare il progresso delle zone rurali di appartenenza. In realtà infatti le rimesse dell'emigrazione esercitarono effetti molto positivi sulla bilancia dei pagamenti. La forte eccedenza delle importazioni sulle esportazioni nel primo decennio del Novecento, soprattutto dovuta alle necessità di approvvigionamento di materie prime per la nascente industria siderurgica, fu in effetti coperta per il 61% proprio dalle rimesse degli emigranti.

Per una descrizione dettagliata dei materiali e delle fotografie esposte si rimanda alla Guida della mostra.